Deliberato del 10 marzo 2019 in tema di processo civile

A.N.F. ASSOCIAZIONE NAZIONALE FORENSE

DELIBERATO DEL CONSIGLIO NAZIONALE DEL 10 MARZO 2019

 “DELIBERATO IN TEMA DI PROCESSO CIVILE”

Il Consiglio Nazionale dell’A.N.F. Associazione Nazionale Forense, riunito a Roma nei giorni 9 e 10 marzo 2019,

premesso che

  • in occasione della Relazione annuale del Ministro della Giustizia sull’amministrazione della giustizia per l’anno 2019 (ai sensi dell’art. 86 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), tenuta avanti al Camera dei Deputati e davanti al Senato della Repubblica il 23 Gennaio 2019, il Ministro della Giustizia ha dichiarato che “entro la prima metà di febbraio verrà depositato un disegno di legge delega per la riforma del rito civile, che introdurrà meccanismi di semplificazione per le cause riservate alla decisione del tribunale in composizione monocratica e collegiale, per il giudizio dinanzi al giudice di pace e per le impugnazioni”;
  • nella relazione scritta presentata alle Camere, si legge che è “in fase avanzatissima l’elaborazione di un testo di riforma del rito civile, che si propone una radicale semplificazione del processo civile monocratico. Entro la fine di febbraio 2019 sarà dunque depositato un disegno di legge avente ad oggetto la riforma del rito monocratico. Il disegno di legge conterrà anche la delega al Governo per la riforma complessiva del codice di procedura civile, al fine di introdurre analoghi meccanismi semplificatori per le cause riservate alla decisione del tribunale in composizione collegiale e per il giudizio dinanzi al giudice di pace e di secondo grado”;
  • in occasione di un incontro con il Consiglio Nazionale Forense del 13 febbraio 2019 il Ministro della Giustizia ha confermato la volontà di procedere con una legge delega di riforma del processo civile ed ha annunciato che sarebbero stati effettuati altri incontri aventi lo scopo di raccogliere le osservazioni e le proposte di avvocati e magistrati;
  • pur se l’annunciato progetto di legge delega non è stato ancora formalmente depositato in Parlamento, da qualche giorno è noto un articolato informale proveniente dal Ministro della Giustizia di tale proposta di legge delega;
  • il Consiglio Nazionale dell’Associazione Nazionale Forense ha esaminato la bozza del testo di legge delega;

osservato che

appare grave e sconcertante il fatto che il Ministro della Giustizia non abbia in alcun modo avviato un confronto ed una interlocuzione con le associazioni forensi maggiormente rappresentative sui contenuti della proposta in corso di definizione;

considerato che

  • l’Associazione Nazionale Forense ritiene che ogni ipotesi di riforma del processo civile dovrebbe essere incentrata su una riaffermazione ed un rafforzamento degli irrinunciabili principi di garanzia di pieno contraddittorio, diritto delle parti alla prova, principio di leale collaborazione fra le parti e il giudice, valorizzazione del ruolo dell’avvocato nella funzione di tutela dei diritti del cittadino;
  • il progetto di legge delega non appare condivisibile dato che i principi e criteri direttivi di riassetto formale e sostanziale del codice di procedura civile in esso contenuti comportano una seria compressione della garanzia del contraddittorio e del principio di disponibilità della prova;
  • anche questo intervento riformatore, come tutti quelli degli ultimi anni, si concentra “ossessivamente” sul rito e le regole processuali, non affrontando le vere criticità del sistema, che sono invece rappresentate dalle carenze di risorse e di personale, ignorando la necessità di forme di organizzazione del lavoro dei magistrati e di una preparazione in chiave organizzativa/manageriale dei capi degli uffici giudiziari e “scaricando” sul cittadino le inefficienze del sistema e sacrificando la sua legittima aspettativa di giustizia;

considerato in particolare che

  1. le misure per il rafforzamento del principio di leale collaborazione processuale delle parti, pur se perseguono uno scopo in linea di principio condivisibile, di fatto si risolvono nella previsione di sanzioni pecuniarie a carico delle parti: tale impostazione fa percepire un atteggiamento intransigente e punitivo nei confronti del cittadino che si rivolge al giudice, volto a scoraggiare l’accesso alla giustizia, più che a garantirne l’effettività;
  • la ipotizzata revisione degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie porta ad una discutibile commistione tra lo strumento della negoziazione assistita e gli strumenti istruttori giudiziali: ciò contrasta con il basilare principio secondo il quale le parti in negoziazione o in mediazione devono poter contare sulla inutilizzabilità di quanto prodotto o dichiarato nelle procedure conciliative in un eventuale successivo giudizio;
  • la ipotizzata revisione del processo di cognizione di primo grado realizza di fatto una “amministrativizzazione” del processo, con l’attribuzione di un accentuato potere dirigista in capo al magistrato. La previsione nella fase introduttiva di preclusioni e decadenze a carico delle parti porta ad una sommarizzazione del giudizio che contrasta con l’idea di un processo che possa essere effettivamente modulato a seconda delle esigenze probatorie del singolo caso concreto. La previsione di una fase introduttiva unitaria e uguale per tutte le controversie dovrebbe essere contemperata dalla possibilità di una fase istruttoria che segua canali alternativi (prefissati per legge) a seconda della complessità della materia trattata, cosa che però non si prevede minimamente;
  • considerazioni analoghe valgono anche rispetto alla ipotizzata revisione del processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale;
  • salve le considerazioni di cui al punto c), la ipotizzata revisione del processo davanti al giudice di pace appare condivisibile circa l’intento di uniformare il rito di tale procedimento a quelli del tribunale e corte di appello, così riducendo il numero di riti esistenti, anche in considerazione dell’ampliamento per materia e valore della competenza del Giudice di Pace; ma in alcune materie potrebbe apparire un processo troppo rigido se non modulato in fase istruttoria da canali alternativi come prospettato innanzi,
  • la ipotizzata revisione del giudizio di appello delinea una grave sommarizzazione del sistema impugnatorio, poiché la parte rischia di veder dichiarare inammissibile il proprio appello, con un’ordinanza resa a norma dell’art. 348-bis c.p.c. ricorribile solo per vizi procedurali, così trovandosi nella condizione di non poter far mai valere censure sul merito della pronuncia di primo grado, a sua volta caratterizzata da sommarizzazione e amministrativizzazione.
  • la ipotizzata modifica dei principi comuni a tutti i procedimenti civili, tributari, amministrativi appare condivisibile nella parte in cui prevede la generalizzazione del deposito telematico quale unica modalità di deposito degli atti; tuttavia la previsione che il deposito con modalità non telematiche possa avvenire solo in casi di urgenza e di malfunzionamento dei sistemi e dietro autorizzazione preventiva del Presidente del Tribunale non è condivisibile. Sarebbe opportuno prevedere che vi sia una facoltà delle parti di effettuare depositi con modalità tradizionali ogni volta che ciò risulti necessario (si pensi – oltre alle ipotesi di malfunzionamento dei sistemi – anche al caso di elementi di prova rappresentati da oggetti fisici), senza necessità di autorizzazioni preventive.

      L’introduzione in via generale del principio di sinteticità degli atti sarebbe condivisibile, ma occorre tuttavia prevedere con chiarezza che tale principio non possa portare alla introduzione di limitazioni circa il contenuto o la estensione degli atti di parte (come sta discutibilmente avvenendo nella giurisdizione amministrativa) e chiarire che la sua violazione non possa dare luogo a sanzioni processuali o a forme di improcedibilità.

      È del tutto condivisibile la previsione che esclude la possibilità di sanzioni processuali in caso di violazione di specifiche tecniche;

  • la ipotizzata revisione della disciplina del procedimento notificatorio si traduce in obbligo di notifica a mezzo posta elettronica certificata ogni volta che il destinatario ne sia munito: tale previsione non è condivisibile, risolvendosi nell’imposizione di un unico strumento di notifica, che frustra la libertà di scelta della parte in funzione delle necessità di difesa e della specificità del singolo caso;
  1. la ipotizzata revisione della disciplina del giudizio di scioglimento delle comunioni prevede una sostituzione della mediazione ex D.lgs. n. 28/2010 con altro strumento di conciliazione. Questa scelta appare ingiustificata, essendo mancati un attento esame dei dati relativi alla efficienza di detta mediazione ed una valutazione della effettiva criticità dei contenziosi nella specifica materia, nonché l’esame dei dati relativi all’utilizzo dell’accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis c.p.c. ai fini dello scioglimento della comunione. Sarebbe invece più opportuno intervenire sugli strumenti ad oggi esistenti, integrandoli con limitate modifiche che ne correggano eventuali criticità, legate agli aspetti tecnici della materia, specie in caso di divisione di immobili, nel procedimento di mediazione e in materia di trascrizioni di sentenza di divisione, pronunciata incidentalmente nel processo esecutivo.

      La revisione, peraltro, accentua il ruolo del notaio nelle operazioni di scioglimento tanto di beni divisibili che di quelli indivisibili a discapito dei professionisti di cui all’art. 179-ter disp. att. c.p.c.; penalizza economicamente le parti con riferimento all’acquisizione di documentazione tecnica ancor prima della introduzione del giudizio, e con la previsione, a pena di inammissibilità, del deposito della intera somma dovuta a titolo di conguaglio da parte del condividente che chiede l’assegnazione dei beni. Tale ultima norma è in contrasto sia con le disposizioni in materia di assegnazione di beni in favore del creditore in sede di esecuzione, che con le norme sostanziali in materia di divisione ereditaria, che vedono come estrema ratio la frammentazione del patrimonio ereditario, ed ancor più la vendita dei beni che ne fanno parte. 

Tanto premesso, l’A.N.F. Associazione Nazionale Forense, richiamati i deliberati del suo consiglio nazionale del 2.9.2018 e del 2.12.2018,

  1. chiede che sia avviato con urgenza un preventivo e necessario confronto con tutti gli operatori interessati e in particolare che siano urgentemente convocate dal Ministro della Giustizia le associazioni forensi maggiormente rappresentative;
  2. esprime la propria contrarietà di merito al progetto di legge delega per la riforma del rito civile così come articolato nella proposta del Ministro della Giustizia ad oggi nota;
  3. invita il Ministro della Giustizia e le forze parlamentari e di governo a rivedere integralmente il testo e l’intero impianto della proposta di legge delega per la riforma del rito civile, sulla base di un’idea di processo civile che coniughi l’accesso alla giustizia e l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini nel rispetto del contraddittorio con un sistema-giustizia dotato di risorse e organizzato nel lavoro dei magistrati e nella gestione dei procedimenti.

Roma, 10 marzo 2019.

A.N.F. Associazione Nazionale Forense

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