Revenge porn escluso dal «Codice rosso»


Il Sole 24 Ore – Guido Camera –  Una corsia preferenziale riservata ad alcuni reati in materia di violenza domestica e di genere. La prevede la nuova legge «Codice rosso», approvata definitivamente la scorsa settimana dal Parlamento, che modifica in tre punti il Codice di procedura penale con l’obiettivo di dare priorità e velocità alle indagini.

Però la disposizione “bandiera” della nuova legge – quella che impone al pubblico ministero di sentire le persone offese e chi ha presentato denuncia, querela o istanza entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato – non vale per le vittime del delitto di «revenge porn», pure introdotto dalla legge, che consiste nella diffusione di immagini o video sessualmente espliciti e che sarebbero dovuti restare privati (si veda anche l’articolo a fianco). Ma andiamo con ordine.

Le procedure

In primo luogo il «Codice rosso» modifica l’articolo 347 del Codice di procedura penale, stabilendo che se ci sono ragioni di urgenza, la polizia giudiziaria dovrà dare comunicazione al Pm immediatamente anche in forma orale – a cui seguirà quella scritta – della notizia riguardante questi reati: maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne, violenza sessuale di gruppo, atti persecutori, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (il «revenge porn»), lesioni personali e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (anche questo un nuovo delitto introdotto dalla legge) connesse a fatti di violenza domestica o sessuale.

La seconda novità, contenuta nell’articolo 362 del Codice di procedura penale, riguarda l’obbligo, per il pubblico ministero, di interrogare la persona offesa e chi ha presentato denuncia, querela o istanza (come potrebbe essere un genitore, o il tutore) entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato. I delitti per cui opera tale obbligo – che viene meno solo per i casi in cui «sussistano imprescindibili esigenze di tutela dei minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini» – sono gli stessi ricordati sopra, a eccezione del «revenge porn». Chi presenta querela per la diffusione, senza il suo consenso, di video o immagini a contenuto sessualmente esplicito non dovrà essere sentito entro tre giorni dal Pm. Un’esclusione che si potrebbe spiegare solo con l’esigenza di non inflazionare oltremodo le nuove attività del pubblico ministero.

La terza modifica investe l’articolo 370, e prevede l’obbligo per la polizia giudiziaria di procedere «senza ritardo al compimento degli atti delegati dal pubblico ministero».

È chiaro il senso complessivo delle nuove disposizioni: garantire un intervento immediato della magistratura, se del caso anche di natura cautelare personale, nel contempo dimostrando alla persona offesa la vicinanza dello Stato. Diversamente non si spiega l’obbligo di assumere informazioni testimoniali – non solo dalla vittima, ma anche da altri soggetti a lei vicini – di cui viene gravato il pubblico ministero personalmente, senza possibilità di delegare l’incombente a polizia giudiziaria e psicologi specializzati: un atto dal sapore “simbolico” ma privo di reale utilità investigativa, che impegnerà molto le risorse delle Procure italiane.

Va detto, infatti, che oggi il Pm non ha alcun obbligo di assumere personalmente a sommarie informazioni testimoniali la persona offesa o il querelante e che raramente lo fa, privilegiando altri mezzi di ricerca della prova che riscontrino le accuse.

Il ruolo degli avvocati

Si tratta di un sistema in cui gli avvocati – e in particolare i difensori delle vittime – potranno avere un fondamentale ruolo di supporto alla magistratura, sia per la tutela dei diritti, sia per il buon funzionamento dell’apparato giudiziario. Innanzitutto la denuncia o querela – il cui termine di proposizione, per violenza sessuale e atti sessuali con minorenne, aumenta da 6 mesi a 1 anno – potrà essere preceduta da un’analisi professionale dei fatti, in modo da evitare sovrapposizioni tra componenti emotive e condotte penali, e offrire al pubblico ministero un quadro già completo che eviti inutili sforzi investigativi.

Quando la vittima è un minore, il professionista potrà farsi supportare da un consulente di parte, che possa valutarne l’effettiva capacità a testimoniare, in modo da evitare il rischio di procedimenti per falsi abusi.

Si tratta di attività preziose, che possono mettere il pubblico ministero nelle condizioni di valutare se, nell’interesse della persona offesa e delle indagini, non sia più utile svolgere attività di ricerca della prova diversa da un’assunzione di informazioni testimoniali che potrebbe rivelarsi una ripetizione di circostanze già esposte.

Solo l’applicazione pratica potrà poi far capire se la corsia preferenziale riservata alla violenza domestica e di genere potrà convivere con i carichi giudiziari ordinari e le risorse dell’amministrazione della giustizia.

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